L’aria che respiriamo è sempre più sporca o è possibile parlare di miglioramento? Secondo l’ultimo rapporto ISPRA, (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) relativo alle emissioni del 2024, in Italia i gas serra sono diminuiti del 3% rispetto all’anno precedente, trainati soprattutto dalla produzione di energia elettrica, che storicamente rappresenta circa un quarto delle emissioni complessive del Paese. Più nel dettaglio, i dati che l’Istituto pubblica e trasmette con una cadenza biennale agli organismi europei ed internazionali, mettono in luce come dal 1990 a oggi, questo comparto abbia tagliato le sue emissioni del 64%, consolidando il proprio ruolo di avanguardia nella decarbonizzazione.
I due documenti, intitolati “Le emissioni nazionali di gas serra” e “Le emissioni di CO2 nel settore elettrico nazionale e regionale”, tracciano il bilancio emissivo dell’Italia dal 1990 al 2024 e propongono scenari al 2030 e 2055, in linea con gli obiettivi europei del Green Deal e con il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC).
Rinnovabili in crescita, verso il sorpasso del 50%
Le fonti di energia rinnovabile, nel bilancio ISPRA, si confermano un elemento chiave del calo delle emissioni. Nel 2023 le FER hanno infatti coperto il 44,3% della produzione elettrica, mentre i dati preliminari per il 2024 indicano un balzo vicino al 49%, grazie al ritorno della produzione idroelettrica e alla crescita inarrestabile del fotovoltaico. Un cambiamento sostenuto da incentivi e da un mix energetico sempre più orientato verso il gas naturale e meno dipendente da carbone e petrolio.
Dal 1990 ad oggi risulta che la quota di energia generata da gas naturale è passata dal 18,3% al 45% (2023), mentre quella da prodotti petroliferi è crollata dal 47,4% al 3,9%. Anche l’uso dei combustibili solidi è in forte calo: nel 2024 le stime registrano una riduzione della loro quota fino al 1,5%.
Efficienza e innovazione riducono l’impronta del settore elettrico
Nel 2023 le emissioni del comparto elettrico sono state pari a 78,9 milioni di tonnellate di CO₂, il 21% del totale nazionale. Le stime preliminari per il 2024 prevedono un ulteriore calo del 12%, portando il totale a circa 70 milioni di tonnellate (58 per l’elettricità e 12 per il calore). La CO₂ rappresenta il 99,5% delle emissioni climalteranti del settore, con metano (CH₄) e protossido di azoto (N₂O) in percentuali residuali.
I numeri forniscono una fotografia dettagliata della situazione venutasi a delineare nell’ultimo trentennio, attribuendo la riduzione delle emissioni per il 25,5% all’aumento delle rinnovabili, per il 19,8% al cambiamento dei combustibili impiegati, ma anche ai miglioramenti tecnologici e all’efficienza degli impianti, che incidono per il 14,1%. Tuttavia, l’incremento della produzione elettrica derivante dai maggiori consumi, ha generato un controbilanciamento in aumento del 12,8%. L’effetto netto è, quindi, una riduzione complessiva del 46,6%, pari a 59 milioni di tonnellate di CO₂ in meno.
Forti disuguaglianze territoriali
Proprio per quanto riguarda la produzione elettrica, aumentata esponenzialmente negli ultimi anni, l’analisi a livello regionale rivela significative differenze a livello pro capite: si va dai 1.252 kWh per abitante della Liguria, ai 26.163 della Valle d’Aosta. Le regioni con più consumi, come Lombardia e Campania, tendono a produrre meno energia elettrica rispetto alla domanda interna, facendo emergere un deficit di produzione coperto da importazioni o da surplus di altre regioni.
In particolare, Puglia, Sardegna e Calabria presentano un surplus emissivo, derivante dalla produzione eccedente rispetto alla domanda interna. Al contrario, regioni come Veneto, Emilia-Romagna e Toscana evidenziano un deficit emissivo, legato all’importazione di elettricità da territori più produttivi.
Le emissioni da carbone sono ancora presenti in cinque regioni: Veneto, Lazio, Puglia, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna. Le emissioni da olio combustibile, invece, si concentrano in Sicilia e Sardegna, mentre quelle da gas naturale, il combustibile fossile attualmente più impiegato, costituiscono la quota principale in quasi tutte le regioni.
Trasporti, il vero tallone d’Achille
In netta controtendenza rispetto agli altri settori, il comparto dei trasporti continua a registrare un aumento delle emissioni: +7% rispetto al 1990, con un’incidenza del 28% sul totale nazionale. Oltre il 90% di queste emissioni proviene dal trasporto stradale. L’Italia, nonostante la crescita del settore della mobilità elettrica, rimane fortemente dipendente da veicoli a benzina e gasolio, con un parco veicolare cresciuto di oltre il 50% in trent’anni.
L’Italia verso il 2030
Secondo ISPRA, l’Italia è in linea soltanto con due dei tre grandi obiettivi UE al 2030: la riduzione del 62% delle emissioni ETS (grandi impianti, aviazione, trasporto marittimo) rispetto al 2005 e l’assorbimento di circa 35 milioni di tonnellate di CO₂ attraverso il settore LULUCF (uso del suolo e foreste). Resta invece critica la situazione per il cosiddetto Effort Sharing, ovvero la riduzione del 43,7% delle emissioni da trasporti, edilizia, agricoltura e piccola industria. Le proiezioni attuali indicano un calo del 30% con le politiche in atto e del 41% con l’applicazione delle misure previste dal PNIEC.